Premessa
In questi anni, dove tutto è funzionale, dove tutto è altamente specializzato e portato all’eccesso, è utile molte volte fare ordine su principi e mezzi che caratterizzano la metodologia dell’allenamento. Nel mondo del wellness, ma anche in quello della performance, in un percorso di benessere psico fisico, o in quello della preparazione, ci possiamo collocare anche l’acqua: un elemento naturale che con i suoi effetti deve essere considerato un mezzo di allenamento. Ma il lavoro in acqua è funzionale a che cosa? È solo una terapia antalgica? Perché può essere preferito un tapering in acqua a uno più semplice a secco? Per rispondere a queste domande cominciamo con la conoscenza dell’ambiente acquatico e delle possibilità che esso fornisce all’operatore, sia esso fisioterapista o preparatore fisico.
I benefici dati dalle qualità fisiche dell’acqua influiscono sui sistemi muscolo- scheletrico, cardiovascolare, nervoso e respiratorio. Queste agiscono positivamente sul carico, sul riassorbimento di eventuali edemi, sul rilassamento o sull’attivazione muscolare, e sulla resistenza opposta ai movimenti del corpo.
L’acqua è utilizzata molto per scopi di chinesiologia rieducativa, ma in base alla quantità di acqua dove viene immerso il corpo e all’intensità di esercizio proposto può essere sfruttata anche come preparazione fisica di carattere generale. Non è ovviamente un mezzo di preparazione fisica sport-specifica, salvo che si tratti di sport acquatici.
Quando è consigliato un programma di lavoro in acqua? L’acqua, in modo particolare, la si raccomanda nelle prime fasi di tutti i programmi di recupero dopo interventi chirurgici e, in seguito a traumi o infortuni, nei trattamenti conservativi, per la corretta ripresa dei movimenti spontanei e sportivi. Il programma in acqua può essere associato anche ad un protocollo di lavoro a secco o utilizzato come programma unico; in quest’ultimo caso diventa necessario svolgere esercizi in scarico totale o parziale, per eseguire movimenti che a secco, un ambiente condizionato dalla forza di gravità, risulterebbero difficili o impossibili da effettuare.
In acqua, a seconda della problematica da trattare e della fase in corso, il movimento eseguito da un soggetto può essere attivo assistito o totalmente attivo. Il movimento volontario è un’attività consapevole, risultato di coordinazioni neuro- muscolari, realizzato per raggiungere attivamente il recupero delle esperienze motorie deficitarie. Il movimento attivo assistito prevede il sostegno di tipo manuale (movimenti guidati dall’arto sano in esercizi per le spalle), strumentale (carrucola, bacchetta, galleggianti) o per spinta idrostatica (con o senza galleggianti). Questa tipologia di movimento è utilizzata soprattutto in fasi iniziali in cui è prioritaria la mobilizzazione in scarico o nel recupero articolare con controllo del dolore ma anche in attività come un warm up a inizio seduta. In movimento totalmente attivo prevede invece l’esecuzione, da parte del soggetto, di contrazioni muscolari volontarie, con lo scopo di mantenere il ROM, recuperare la forza e la resistenza, la coordinazione neuro-muscolare e le sensibilità propriocettive.
Principi fisici dell’acqua
• Spinta idrostatica di galleggiamento
• Pressione idrostatica
• Viscosità (o resistenza idrodinamica)
• Temperatura
• Profondità
Secondo il principio di Archimede, la forza peso di un corpo immerso in un liquido sarà in parte compensata da una spinta verticale opposta e contraria pari al peso del liquido da esso spostato. Di conseguenza, se ci si immerge in acqua fino all’ombelico, il peso si riduce apparentemente di circa il 50%, e arriva al 90% se si raggiunge il collo. Questa spinta idrostatica di galleggiamento consentendo i movimenti in condizioni antigravitarie permette di riprendere precocemente la rieducazione al passo (deambulazione), alleggerendo il peso che grava sulle articolazioni compromesse e migliorando l’irrorazione del tessuto cartilagineo.
La pressione che grava su un corpo immerso in un liquido è direttamente proporzionale al peso specifico del liquido e alla profondità alla quale il corpo si trova. Questa pressione idrostatica viene esercitata perpendicolarmente in ogni punto della superficie corporea, migliorando l’equilibrio e la propriocezione; poiché essa aumenta con la profondità, agisce sul sistema circolatorio, in particolare sul circolo venoso, e su quello linfatico, favorendo così il riassorbimento di edemi e gonfiori. Genera, inoltre una vasocostrizione periferica a livello degli arti immersi e influenza l’espansione della gabbia toracica.
La resistenza che l’acqua oppone al movimento del corpo che si muove al suo interno è determinata dalla viscosità del liquido stesso. Questa proprietà fisica permette il rinforzo muscolare ed è proporzionale alla velocità del movimento: se si raddoppia la velocità di esecuzione del movimento la resistenza aumenta di quattro volte. L’effetto resistenza, che si ricerca per aumentare il carico di lavoro, viene accentuato anche dall’uso di attrezzi che aumentano la superficie immersa. Anche un flusso turbolento aumenta l’attrito tra le molecole del liquido e, di conseguenza, la resistenza al movimento.
Per quel che riguarda la temperatura, l’acqua delle moderne vasche rieducative viene mantenuta intorno ai 32/33°C, per sfruttare al meglio le proprietà di vasodilatazione del calore, che aumenta la vascolarizzazione e quindi l’ossigenazione dei tessuti, con effetto miorilassante e analgesico. Va tenuto presente che l’acqua troppo calda porta ad un precoce affaticamento muscolare, mentre, al contrario, l’acqua troppo fredda determina un aumento del tono muscolare e favorisce le contrazioni muscolari involontarie. Viene naturale pensare che quando si vuole svolgere un esercizio aerobico prolungato o di medio alta intensità, è consigliabile una temperatura dell’acqua intorno ai 28°C.
A seconda delle finalità del programma, rieducativo e/o riabilitativo, di riatletizzazione o di conditioning, la profondità dell’acqua è un fattore determinante perché il livello dell’acqua modifica la pressione idrostatica e il carico che grava sul corpo umano.
ACQUA BASSA: 60-80 cm (fino alle cosce)
ACQUA ALTA: 120-140 cm (fino all’addome)
ACQUA PROFONDA: >180cm (fino al collo, senza contatto dei piedi al fondo vasca)
Di seguito i principi fondamentali per la stesura dei protocolli di lavoro in acqua:
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Idroterapia: esempi pratici
Dai concetti di base appresi, sviluppiamo ora, attraverso alcuni esempi pratici, una corretta progressione di esercizi utili per la terapia rieducativa in acqua. Nello specifico tratteremo il ciclo rieducativo post infortunio della spalla.
Il ciclo rieducativo o di lavoro in acqua viene spesso suddiviso in tre fasi: ogni fase è ovviamente soggetta a possibili cambiamenti in base alle caratteristiche della persona e alle problematiche da affrontare (tendinopatia, capsuliti, infortunio di altra natura, tipologia di intervento chirurgico ecc.), al suo livello di coordinazione e familiarità con l’ambiente acquatico, e agli obiettivi da raggiungere, sia esso un sedentario, uno sportivo o un atleta agonista.
Si tiene presente che dietro ad ogni trauma o intervento c’è un soggetto che reagisce e si organizza differentemente da un altro, ed è preferibile parlare di linee guida individualizzate. Altresì vero, che un atleta agonista ha necessità differenti e sport specifiche anche nel corretto approccio e nella più efficace proposta in piscina. Le immagini qui sopra fanno parte di un protocollo di esercizi per il cingolo scapolo omerale: in questa fase, prima di proporre esercizi specifici o con attrezzature ed operare in maniera analitica, si ha la necessità di mettere in moto l’organismo con una attivazione generale, anche con gli arti inferiori, utile ad attivare il metabolismo aerobico che può essere di aiuto allo scopo di smaltire cataboliti e scorie date dall’infiammazione in essere. L’attivazione specifica avviene attraverso esercizi di flessibilità su tutti i piani, nei gradi di movimento consentiti ed eventualmente attivo-assistiti dall’altro arto. Per “frequentare” range di movimento oltre i 60° di abduzione oppure oltre i 90° di flessione del braccio sul piano sagittale è possibile con l’utilizzo di galleggianti (cinture, tondoludi, ecc.) effettuare movimenti in posizione prona chiamati esercizi pendolari di galleggiamento prono. Oltre a molti attrezzi che possono aiutare allo svolgimento di esercizi propriocettivi e di controllo, o esercizi di puro “risveglio” muscolare, come bacchette, tavoletta, tondoludo, manubri d’acqua, ecc., c’è la possibilità di utilizzare il bordo della vasca o in alcune occasioni, se essa è attrezzata, uno sgabello, per esercitazioni a catena cinetica chiusa.
Classificazione dello stimolo in base alla durata
Mobilità, Stabilità e Forza: anche in ambiente acquatico è importante seguire questa progressione, e ci si può orientare attraverso la proposta di esercizi e la durata dello stimolo proposto. In fase iniziale è buona norma eseguire esercizi con un arco di movimento che porti alla soglia del dolore, e dove sussistono le condizioni “favorevoli” (soggetto motivato, con atteggiamento positivo) potrebbe essere utile tentare di superare il limite imposto dal dolore stesso. Abbiamo parlato di soglia per il semplice motivo che il dolore va comunque tenuto sotto controllo. Esso rappresenta un fattore significativo, in quanto, se non tollerato, altera le funzioni e inibisce le attività muscolari.
In questa prima fase la proposta sarà limitata e quantizzata in pochi esercizi e alto numero di ripetizioni per poter controllare la qualità dei movimenti: 5/6 esercizi 1/2 serie 20/30 ripetizioni.
Negli esercizi di stabilità e propriocezione la proposta è soggetto-dipendente: quando scade la qualità la proposta va cambiata e riformulata. Gli esercizi proposti devono essere 2/3 da 1 serie di 15/20 ripetizioni.
Nella successiva fase rieducativa sono altrettanto importanti gli esercizi di rinforzo muscolare, che impegnano in modo significativo il soggetto e l’articolazione interessata. Per questa ragione si ritiene utile per una corretta programmazione delle sedute di potenziamento mescolare esercizi di forza con esercizi di flessibilità e stretching attivo chiamati esercizi complementari o di compensazione.
In questa ultima fase, in modo crescente, il soggetto comincerà a svolgere 1 esercizio di forza da 10 ripetizioni e 1 esercizio complementare, fino ad arrivare a 5 esercizi di forza (differenti tra loro, in termini di movimenti proposti) e 1 esercizio complementare. In un secondo step la proposta aumenterà il volume di lavoro proponendo esercizi di forza da 20 ripetizioni su diversi piani e assi da alternare con esercizi di recupero attivo.
Un percorso a stazioni, o un circuit training, potrebbe essere un altro metodo utile al fine di organizzare al meglio un lavoro in acqua, anche a coppie o in gruppo.
Andrea Fiorin
Prep. Fisico Venezia FC
Consulente Fitness
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Bibliografia
RIABILITAZIONE IN ACQUA Broglio – Colucci, Colucci, Edi-ermes.
PREPARAZIONE FISICA IN ACQUA Master Training, Piero Pigliapoco, Piero Benelli.
IN ACQUA PER IL CUORE Autori vari, Sport & Medicina, luglio – settembre 2017.
IN ACQUA Umberto Borino, Stefano Di Coscio, Edizioni Correre 2011.
WATSU – LA CURA E LA LIBERTA` DELL`ACQUA Watsu Italia, Xenia 2016.
FITNESS IN ACQUA FIN Federazione Italiana Nuoto, Settore Istruzione Tecnica CONI